• Chi siamo
  • Attività
  • Formazione
  • Docenti
  • Comitato di indirizzo
  • Contatti

Libertà per Patrick

Patrick George Zaki, 27 anni, attivista e studente dell’Università di Bologna, resterà in stato di detenzione preventiva in Egitto per almeno 30 giorni.

Il 25 febbraio è stato trasferito da una stazione di polizia alla prigione di Mansoura. La prossima udienza è fissata il 7 marzo.

La mattina del 7 febbraio, in base a quanto riferito dai suoi avvocati, agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (NSA) lo hanno arrestato e tenuto bendato e ammanettato per 17 ore durante il suo interrogatorio all’aeroporto.

I pubblici ministeri di Mansoura hanno ordinato la detenzione preventiva di Patrick George Zaki in attesa di indagini su accuse tra cui “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Il 22 febbraio, allo scadere dei primi 15 giorni di detenzione, un tribunale egiziano ha ottenuto il prolungamento di ulteriori 15 giorni.

Il 5 marzo, a due giorni dalla prossima udienza, abbiamo organizzato una nuova mobilitazione a partire dalle 18 in piazza della rotonda (Pantheon) a Roma e una serie di azioni sui social per chiedere la liberazione immediata di Patrick George Zaki.

Patrick George Zaki è un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.

FIRMA L’APPELLO DI AMNESTY INTERNATIONAL

Tu non sei un numero

di Katia Castellani

Entro in classe. Primo giorno di scuola. Nuove classi, le terze di un liceo. Inizio a parlare. Silenzio. Non vola una mosca. Gli occhi sbarrati, lo sguardo attonito. Questo è quello che succede ai miei alunni del terzo anno, anno in cui si inizia a studiare storia dell’arte in un liceo, quando dico loro che non sono propensa a dare insufficienze, che insomma non le darò. Insomma non avranno mai nella scheda un 2 o un 3, un 4 e nemmeno un 5.

Rimangono naturalmente sconvolti, bocca aperta e occhi sgranati È naturale, lo so e allora mi spiego, spiego a loro la mia posizione. Ritengo che il mio sia un bel mestiere, che la scuola debba fornire conoscenze, curiosità, strumenti, orizzonti, sogni, saperi, sguardi. Ritengo che la scuola debba offrire a tutti opportunità per capirsi, per misurarsi con il mondo. Ritengo che dare un 2 o un 3 a un ragazzo sia offensivo per noi insegnanti. Sia mortificante per i nostri studenti. Questo dico ai ragazzi e alle ragazze ma aggiungo che ci sarà molto da lavorare che starò loro con il fiato sul collo, finché non faranno un buon lavoro e intendo per buon lavoro quando questo è fatto con il cuore e il cervello, creativamente e significativamente. Sentito.

Parlo ai miei ragazzi e dico che loro non sono il voto che prendono ma molto di più e che bisogna imparare a sentire quello che si sa e quello che non si sa.

Dico ai miei ragazzi che se la verifica non riescono a finirla, si finirà la prossima volta così avranno il tempo a casa per poter riguardare ciò che non sanno.

I miei ragazzi continuano a guardarmi come un aliena venuta da Marte e non immaginano nemmeno quanto mi faranno felice – e succede sempre! – quando mi diranno di avere riaperto i libri a casa per andare a studiare meglio ciò che sanno meno. Questo è il grande risultato. Questo è il vero risultato. Tutto diventa più lieve, più partecipato. E anche durante la verifica di arte un po’ di musica male non sta, ci si rilassa e si sorride scrivendo.

Certo non è facile, certo è faticoso ma va così. Una scuola senza insufficienze è possibile, basta ribaltare lo sguardo, basta dotarsi di uno sguardo nuovo. Non è facile ma non è impossibile e questo io l’ho imparato dai miei alunni e da quelli più in difficoltà. In un momento come questo pericoloso e difficile che “restare umani” sembra un’idiozia, un segno di debolezza, un’anomalia noi insegnanti dobbiamo tenere duro, andare da un’altra parte, essere di parte. Non una scuola di eccellenze ma di teste pensanti e tutte diverse. Non una scuola bianca e ariana ma diversamente abile, diversamente colorata, diversamente pensante. Non una scuola azienda ma una scuola creativa e ricca di utopia, fatta “di segni e di scritture illeggibili per popoli immaginari” come direbbe Bruno Munari. Una scuola libera da dogmi inutili, da stupide competizioni.

Io ci credo ancora.

__________________

*Insegnante d’arte in un liceo, allieva di Bruno Munari è consulente per la didattica dell’arte contemporanea presso istituzioni, teatri e musei. Conduce laboratori di non-didattica dell’arte contemporanea e di arte-attiva per bambini e bambine di scuole elementari e materne; si occupa di formazione per insegnanti

Comune-info

Atto contrario, ribellarsi al razzismo

Sì, è vero, la tormenta imperversa e l’angoscia ci opprime, ma dove sta scritto che dobbiamo vivere in un tempo di cui potremo solo vergognarci? Abbiamo pensato di dedicare tre giornate, dal 15 al 17 di marzo, ad affermare con evidenza il contrario. Chiediamo di promuovere ovunque iniziative di ogni tipo contro il razzismo e le narrazioni tossiche che alimentano un sistema nefasto e incarognito. Non canteremo il buio dei nostri giorni ma la bellezza della resistenza e il piacere della ribellione che filtrano da ciascuna (anche piccola) apertura che fa entrare la luce
Tutti gli appuntamenti di Atto contrario sono leggibili qui

Possiamo mettere in discussione gli orrendi abusi del potere istituzionale ma anche l’apatia e l’indifferenza verso la xenofobia e il razzismo che crescono intorno e dentro di noi? Possiamo trasformare l’angoscia che ci assale di fronte a quanto accade nel Mediterraneo, nei lager libici e in tutta l’Africa, in Turchia e nelle nostre città dove migranti e rifugiati hanno sempre più paura? Possiamo rovesciare quell’angoscia, restando ben ancorati alla realtà, nel suo stato opposto? Bruno Tognolini, grande maestro di piccole rime, dice che se ci opprime l’angoscia, dobbiamo fare “attu contrariu”, come vuole la sapienza popolare, per esempio in Sardegna. Non dobbiamo cantare, dunque, dei tempi bui, “ma della luce, della gioia e della bellezza, della speranza, (…) che sono sempre disciolte in tutti i tempi”.

Molti, in realtà, quegli atti contrari verso chi detesta l’affermazione della libertà di movimento (per chiunque abbia il desiderio o la disperata necessità di partire), li fanno da tempo e in tanti modi diversi. Chi avrebbe immaginato, nel 1998, che a causa della sua capacità di accogliere un paesino dell’Aspromonte sarebbe diventato famoso nel mondo quanto i Bronzi? E chi avrebbe detto che a Roma, solo con l’autogestione dei cittadini, sarebbe nato un non-luogo fantastico come il Baobab, dove sono stati accolti 80 mila “migranti transitanti”, cioè diretti verso altre città europee o del Nord Italia? C’è poi quell’altro gruppo di stravaganti personaggi, diventati nientemeno che armatori di una nave, Mediterranea, solo con il sostegno di un pugno di associazioni, centri sociali, parrocchie, singoli cittadini e di una strana banca che sostiene che l’interesse più alto sia quello di tutti: adesso vanno in mare per raccontare quel che molti preferirebbero non si sapesse e, insieme ad altri, a salvare la gente che annega.

Di persone bizzarre, donne e uomini inclini all’atto contrario, ce ne sono anche a Trento, Monfalcone, Lodi, Trieste e in un sacco di altri posti. Sono, per esempio, genitori, studenti, insegnanti impegnati a contrastare in modo assai creativo un susseguirsi di azioni meschine compiute nelle scuole in nome di logiche di esclusione. Negli ultimi mesi, poi, sono nate reti come il Forum per Cambiare l’ordine delle cose, tavoli come Saltamuri, campagne come quella di sostegno per Riace, promossa dalla Rete dei Comuni Solidali, oppure manifestazioni come quella degli Indivisibili, solo per fare qualche esempio.

Come gruppo di persone, riunito per l’occasione da Comune, un mezzo di comunicazione on-line indipendente che invita alla ribellione del fare, abbiamo pensato di poter contribuire ad alimentare quegli “atti contrari”, dando loro un appuntamento che ne mostri in modo più evidente le potenzialità di creazione di relazioni differenti. Dal 15 al 17 marzo, dunque, in molte città e piccoli centri della penisola, chiediamo di promuovere iniziative anche molto diverse tra loro: incontri, videoproiezioni, partite di calcio, pranzi e cene in piazza, concerti, presentazioni di libri, passeggiate a piedi o in bici, presìdi, scuole di italiano all’aperto, giochi di strada, mostre fotografiche, letture di libri di scrittori del sud del mondo, assemblee, feste, spettacoli teatrali e un lungo, speriamo lunghissimo, eccetera.

Non si tratta, com’è ovvio, di costruire una mobilitazione più decisiva o importante delle altre, ma di tre giornate da mettere accanto e insieme alle altre manifestazioni. Non si tratta di contarsi, né di misurare la propria capacità di mobilitare, meno ancora di inseguire i media e le forze politiche che… contano. Si tratta di resistere con tenacia e creatività alla de-umanizzazione delle politiche che inventano i capri espiatori del nostro tempo e alla violenza delle ondate del razzismo istituzionale, mediatico e “popolare” per stare insieme e sentirsi meno soli. Quel che chiediamo, in altri termini, è di chiamarsi fuori dalla paura e di infilare – come dice Tognolini – ovunque minute stringhe virali di bellezza. Lo chiediamo a qualsiasi gruppo, composto da cinque o cinquemila persone, che pensi di potersi opporre – anche solo per una volta – all’atrofia della sensibilità e della condivisione delle speranze e dei territori, a ogni comunità formale e informale che sia. E lo chiediamo anche alle scuole, nelle quali insegnanti, studenti e genitori possono trovare il tempo e il modo, durante il venerdì, per proporre momenti di gioco o approfondimento.

Fateci conoscere le vostre iniziative, scrivete a .

Dove bisogna stare

Dove bisogna stare è un documentario che racconta di una possibile risposta a questi tempi cupi. Non racconta l’immigrazione dal punto di vista di chi sceglie di partire o è costretto a farlo: è innanzitutto un film su di noi, sulla nostra capacità di confrontarci con il mondo e di condividerne il destino.

C’è un paese raccontato come terrorizzato dalle migrazioni e violentemente ostile nei confronti dei migranti. Su questa narrazione, una parte del ceto politico continua a costruire la propria identità e le proprie fortune elettorali. Un’altra parte del ceto politico sembra invece incapace di parlare ad un paese spaventato e sempre più aggressivo.

Ma esiste anche un altro paese, che pratica solidarietà e lotta per i diritti ogni giorno, in maniera spesso informale e non strutturata. Non è professionismo, e a volte non è nemmeno esattamente militanza. Dove bisogna stare racconta quattro donne, di età diverse, che in luoghi diversi sono impegnate in attività a prima vista assurde al senso comune o quello spacciato come tale. Donne che appaiono fuori luogo rispetto alla narrazione dominante, quasi incomprensibili. Ascoltando i loro racconti e restituendo il loro quotidiano scopriamo, invece, discorsi e gesti lineari, straordinari nella loro semplicità. Scopriamo che non stanno fuori luogo, ma in un luogo molto reale, nel luogo in cui sentono di avere bisogno di stare.

In opposizione alla retorica folle dell’invasione e della chiusura, e a quella dei raffinati ragionamenti dei benpensanti per mestiere, sono persone come Elena, Georgia, Jessica, Lorena la speranza per provare ad uscire assieme dai problemi e dalle tensioni causate da un fenomeno epocale come le migrazioni, fenomeno che fa emergere con forza le contraddizioni e le ingiustizie della nostra società.

GLI AUTORI

DANIELE GAGLIANONE

Nato ad Ancona il 4 novembre 1966. Laureato in Storia e Critica del Cinema presso l’Università di Torino. Dai primi anni novanta collabora con l’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza. Ha girato cortometraggi di fiction e documentari, tra cui La ferita (1991), premiato al festival Cinema Giovani di Torino. Nel 2000 ha esordito nel lungometraggio con I nostri anni, selezionato alla Quinzaine di Cannes e nel 2004 Nemmeno il destino, ha vinto il Tiger Award a Rotterdam. Con Rata neće biti (La guerra non ci sarà) ha vinto il premio speciale della giuria al Torino Film Festival e il David di Donatello come miglior documentario. Nel 2013 ha presentato La mia classe alle Giornate degli autori della Mostra di Venezia. Nel 2014 vince il premio Gli Occhiali di Gandhi al Torino Film Festival con il documentario Qui. Anche attivo in campo teatrale, con il gruppo ilBuioFuori (theOutsideDark). Nel 2014 è co-regista con Cristina Monti e Paolo Rapalino del documentario Là suta. La nostra eredità nucleare in un triangolo d’acqua.

STEFANO COLLIZZOLLI
Stefano Collizzolli (Padova, 1978) è formatore di video partecipativo ed autore di cinema documentario. Ha progettato ed è stato trainer sul campo per laboratori di video partecipativo in Italia, Palestina, Tunisia, Senegal e Repubblica Dominicana.
E’ dottore di ricerca in sociologia della comunicazione presso l’Università di Padova e fa ricerca principalmente sulle metodologie visuali. E’ socio fondatore dell’associazione ZaLab.
Fra i suoi lavori di cinema documentario I nostri anni migliori (2012, con Matteo Calore), Il pane a vita (2014), E’ Finita (2015) fuoriClasse (2016, con Michele Aiello).

Per saperne di più…

Carceri, che anno è stato il 2018? Ecco i dati di Antigone

L’aumento dei suicidi, la crescita del sovraffollamento, ed una “riformina” dell’ordinamento penitenziario. Sono questi alcuni dei tratti salienti che hanno caratterizzato il 2018 per quanto riguarda il sistema carcerario italiano.

Al 30 novembre, dopo 5 anni, i detenuti sono tornati ad essere oltre 60.000, con un aumento di circa 2.500 unità rispetto alla fine del 2017. Con una capienza complessiva del sistema penitenziario di circa 50.500 posti, attualmente ci sono circa 10.000 persone oltre la capienza regolamentare, per un tasso di affollamento del 118,6%. Il sovraffollamento è però molto disomogeneo nel paese. Al momento la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 161%, seguita dalla Lombardia con il 137%. Se poi si guarda ai singoli istituti, in molti (Taranto, Brescia, Como) è stata raggiunta o superata la soglia del 200%, numeri non molto diversi da quelli che si registravano ai tempi della condanna della CEDU.

“L’indirizzo dell’attuale governo – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – sembra quello di costruire nuovi istituti di pena. Costruire un carcere di 250 posti costa tuttavia circa 25 milioni di euro. Ciò significa che ad oggi servirebbero circa 40 nuovi istituti di medie dimensioni per una spesa complessiva di 1 miliardo di euro, senza contare che il numero dei detenuti dal 2014 ad oggi ha registrato una costante crescita e nemmeno questa spesa dunque basterà. Servirebbe inoltre più personale, più risorse, e ci vorrebbe comunque molto tempo”. “Quello che si potrebbe fare subito – sostiene Gonnella – è investire nelle misure alternative alla detenzione. Sono circa un terzo le persone recluse che potrebbero beneficiarne e finire di scontare la propria pena in una misura di comunità. Inoltre – conclude il presidente di Antigone – andrebbe riposta al centro della discussione pubblica la questione droghe. Circa il 34% dei detenuti è in carcere per aver violato le leggi in materia, un numero esorbitante per un fenomeno che andrebbe regolato e gestito diversamente”.

Il 2018 ha inoltre visto crescere il numero dei suicidi avvenuti dietro le sbarre. Sono stati 63 (4 nel solo istituto di Poggioreale a Napoli), il primo avvenuto il 14 gennaio nel carcere di Cagliari e l’ultimo il 22 dicembre in quello di Trento. Era dal 2011 che non se ne registravano così tanti. Ogni 900 detenuti presenti, durante l’anno, uno ha deciso di togliersi la vita, venti volte di più che nella vita libera.

“Di fronte a questa lunghissima serie di tragedie – dice Patrizio Gonnella – abbiamo promosso una proposta di legge per prevenire i suicidi”. La proposta si articola in tre punti: maggiore accesso alle telefonate, maggiore possibilità di passare momenti con i propri famigliari, inclusa l’opportunità di avere rapporti sessuali con le proprie compagne o con i propri compagni, una notevole diminuzione dell’utilizzo dell’isolamento.
“Per prevenire i suicidi in carcere bisogna togliere la volontà di ammazzarsi e non limitarsi a privare i detenuti degli oggetti con cui farlo. La prevenzione dei suicidi – sostiene il presidente di Antigone – ha a che fare con la qualità della vita interna, con la condizione di solitudine, con l’isolamento e con i legami affettivi all’esterno. Il carcere deve riprodurre la vita normale. Nella vita normale si incontrano persone, si hanno rapporti affettivi ed intimi, si telefona, si parla, non si sta mai soli per troppo tempo. Abbiamo inviato questa proposta ai parlamentari – conclude Gonnella – e a gennaio incontreremo alcuni di loro affinché arrivi presto in Parlamento”.

L’anno che sta per chiudersi ha visto anche l’approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario, a conclusione di un iter avviato dal precedente governo che aveva convocato gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale a cui avevano partecipato addetti ai lavori provenienti da diversi mondi. Gran parte delle indicazioni uscite da quella consultazione sono state disattese, in particolare proprio sulle misure alternative alla detenzione. Tuttavia su alcuni temi si sono fatti dei piccoli passi avanti, ad esempio con la creazione di un ordinamento penitenziario per i minorenni.

Nel corso del 2018 Antigone, grazie alle autorizzazioni che da 20 anni riceve dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha visitato con i propri osservatori 86 istituti penitenziari. L’elaborazione dei dati raccolti è ancora in corso ma, nei 70 istituti per cui è conclusa, abbiamo rilevato che nel 20% dei casi ci sono celle in cui i detenuti hanno a disposizione meno di 3mq ciascuno. Nel 36% degli istituti visitati c’erano celle senza acqua calda e nel 56% celle senza doccia. Nel 20% non ci sono spazi per realizzare lavorazioni di tipo industriale e nel 29% non c’è un’area verde in cui incontrare i familiari d’estate. E queste, è importante ribadirlo, sarebbero tutte cose previste per legge.
Si continua a registrare carenza di personale. Negli istituti visitati c’è in media un educatore ogni 80 detenuti ed un agente di polizia penitenziaria ogni 1,8 detenuti. Ma in alcuni realtà si arriva a 3,8 detenuti per ogni agente (Reggio Calabria “Arghillà”) o a 206 detenuti per ogni educatore (Taranto).
Dove siamo stati lavorava per il carcere il 28,9% dei detenuti, mentre solo il 2,5% lavorava per datori di lavoro privati. La scuola è presente quasi ovunque ma la grande assente è la formazione professionale. Questa coinvolgeva in media il 4,8% dei detenuti negli istituti da noi visitati e tra questi, in 28 (40%), non c’era alcuna offerta di formazione professionale in corso.

La guerra e la pace dopo Daesh

Nel 2014 l’Isis, che chiameremo con l’acronimo arabo Daesh per evitare termini stigmatizzanti, occupava ampie aree della Siria e dell’Iraq. Sono due storie diverse e complesse, ognuna con una sua declinazione territoriale. L’elemento in comune sono le persone. Quelle fuggite, quelle rimaste simpatizzando o meno con il nuovo potere. Vittime e carnefici che cambiano in continuazione. Entrambe le città sono state liberate tra il 2016 ed il 2017.

In Iraq, Mosul è stata liberata a fine 2016. Grazie ai fondi dell’Otto per mille della Tavola valdese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi) Un ponte per… è stata tra le prime Ong ad arrivare in città e nelle aree circostanti e a distribuire aiuti umanitari alla popolazione civile. Il progetto Darna, “la nostra casa”, portava stufe e kit igienici alle famiglie delle minoranze che rientravano nelle loro cittadine appena riprese dall’esercito iracheno. Cristiani, ezidi, turcomanni e molte altre minoranze che compongono il mosaico di civiltà iracheno rientravano dopo due anni e mezzo nelle loro case. Case che erano state occupate, saccheggiate se non distrutte da Daesh durante la guerra. Uno scenario desolante. Intere cittadine spazzate via. E poi lo sfregio dell’accanimento e della violenza etnica contro le minoranze. Luoghi sacri distrutti e chiese utilizzate come poligoni. La cattedrale di Qaraqosh, una delle più grandi enclave cristiane del Medio Oriente, incendiata e bucherellata in ogni suo angolo. La città di Bashiqa, nota per la produzione dell’olio di oliva da parte della comunità Ezida, rasa al suolo. Con gli oliveti bruciati e gli alberi tagliati. Per non far fiorire più nulla.

«Voi amate la vita, noi la morte» scrivevano i miliziani di Daesh sui muri.
In questo contesto sono rientrate comunque le persone e avevano bisogno di sostegno perché non c’era più nulla, neanche le istituzioni che potessero sostenerli. Ma era troppa la stanchezza di vivere ancora nei campi profughi dove erano state sfollate per anni. Era meglio una casa mezza distrutta che la tenda o il container del campo dove avevano mal vissuto gli ultimi anni. Ma il rientro non è stato per nulla semplice. Perché è stato evidente che i propri vicini di casa, nelle cittadine sunnite, erano rimasti lì ed avevano solidarizzato, a volte, con Daesh. Come nella guerra della ex-Jugoslavia i vicini di casa erano diventati gli aguzzini.

E a quel punto è ricominciato un difficilissimo percorso che riguarda tutti. Oltre la ricostruzione materiale cominciare a ragionare anche sulla ricostruzione dei tessuti di coesistenza. Migliaia di giovani hanno cominciato di nuovo a riversarsi nelle strade di Mosul e delle altre città, riprendendosi la vita che gli è stata strappata dalla guerra. All’Università di Mosul si sono iscritti nel 2017/2018 circa cinquantamila studenti, nonostante il campus sia stato bombardato e pochi edifici siano rimasti in piedi. La biblioteca è stata bruciata e prima saccheggiata. E molti parenti e familiari di membri di Daesh sono stati incarcerati in campi ad hoc. O esclusi dalla vita civile e sociale. Negli incontri pubblici che Un ponte per… ha potuto organizzare, però, sono state migliaia le persone che hanno scelto di partecipare e portare di nuovo musica, parole e vita nelle strade. E da qui si sta cercando di ripartire per capire in che modo sia possibile ridare una vita comune agli abitanti di Mosul, anche se il sostegno della comunità internazionale è stato molto debole sinora.

Nell’immaginario collettivo vinta la battaglia militare il problema non si pone più. Ed invece è proprio ora che sono necessari investimenti mirati a tutte le comunità. Ed è quello che ora in molti provano a fare. Lavorare con tutti coloro che hanno bisogno non escludendo, ma provando a costruire ponti di dialogo tra comunità.
Che è poi l’unica strada, assieme a delle opportunità di sviluppo sociale ed economico, per offrire un’alternativa al ritorno di Daesh o di chiunque voglia soffiare sul fuoco della povertà e del malcontento che cova ancora forte sotto le macerie.

In Siria invece il discorso è diverso. Perché la guerra è ancora in corso anche se Raqqa, la seconda capitale di Daesh dopo Mosul, è stata ripresa da tempo. La città è stata rasa al suolo. Un bombardamento punitivo contro Daesh che ha coinvolto , però, anche la popolazione civile. Amnesty international ha denunciato anche la violenza dell’attacco della coalizione che, appunto, ha voluto distruggere la città piuttosto che Daesh. Infatti con un accordo, che doveva rimanere segreto, tutti i capi di Daesh, sono stati fatti evacuare prima che le forze curde prendessero la città. I curdi appunto hanno ripreso il controllo della città che era sempre stata a maggioranza araba. E la loro egemonia, appoggiata da americani e francesi, non è pacifica. A Raqqa sono rientrate in pochi mesi centocinquantamila persone. Hanno preferito le macerie ai campi per rifugiati anche loro. Solo che mentre a Mosul c’era uno stato centrale iracheno che si è adoperato, anche se debolmente, per ricostruire i servizi, in Siria, con un conflitto in corso, manca ancora tutto. E quindi non c’erano scuole, ospedali, strade. E soprattutto Daesh aveva lasciato dietro di sé mine ovunque e molte trappole esplosive. I primi due mesi del rientro sono stati un drammatico elenco quotidiano di vittime di ordigni vari. A Raqqa abbiamo ricostruito il reparto di maternità dell’ospedale civile con i fondi della Cooperazione italiana. Un piccolo successo del nostro paese perché oggi è una delle poche strutture pubbliche e gratuite che assistono donne e bambini in città. Ogni giorno nascono delle nuove vite in mezzo al deserto della guerra.

Ma il dramma è che appunto dopo un anno le strutture sono ancora pochissime. E a parte gli Stati Uniti e la Francia, che però hanno costruito le loro basi militari nel Nord-est siriano, nessuno ha il coraggio di investire sulla stabilizzazione dell’area. Si continua a lavorare solo sull’emergenza sanitaria, educativa, per l’acqua. Emergenze importantissime ma che non guardano al futuro. E nel frattempo varie forze remano contro qualsiasi pacificazione e diversi membri del consiglio comunale che gestisce la città sono stati assassinati negli ultimi mesi. Ma la solidarietà a volte fa dei miracoli e costruisce in modo silente ed efficace. Durante la battaglia per riprendere Raqqa da Daesh le nostre ambulanze evacuarono, sotto le bombe, una palazzina abitata dalle poche famiglie cristiane rimaste in città. Rischiavano rappresaglie dell’ultimo minuto. Medici curdi ed arabi rischiarono la vita per portare in salvo quasi cento persone. E dopo la battaglia molti medici curdi, che sono stati vittime delle persecuzioni di Daesh, stanno curando le vedove ed i figli dei combattenti più radicali. Diverse organizzazioni locali si stanno adoperando per creare, nel Nord-est siriano attività di coesione sociale. I siriani sanno che dopo otto anni sono tutti vittime della guerra, vincitori e vinti. E lo sanno gli iracheni, dopo trentanni di guerre continue. E tutti sanno che non hanno molte strade da seguire se non quelle di ricominciare a vivere insieme e superare la paura. E possono farlo, se accompagnati dalla solidarietà e non da interessi geopolitici. Da loro ripartiranno delle ipotesi e delle vie di pace.

Il mondo di Leogrande

A un anno dalla scomparsa, tutta la produzione di Alessandro Leogrande per Rai Radio 3 su Raiplayradio
dal 26 novembre Leggi tutto …

Ma quanto è difficile raccontare gli esteri in Italia

“Da otto anni vado in giro come reporter di guerra, tra Afghanistan, Siria e Iraq, e mi accorgo che la parola scritta vale sempre meno. Per esempio, per scrivere dalla Siria sotto le bombe, da Idlib, Jabal Akrad e Aleppo, da una delle testate per cui scrivevo nel 2012 prendevo 250 dollari a pezzo. Cifra che la stessa testata ha ridotto a soli 100 dollari nel 2014, quando lavoravo in una situazione ancora più pericolosa, sotto i barili bomba, nell’inferno di Aleppo”.

Leggi tutto …

Come resistere al tempo dell’arroganza

Marco Damilano

La mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione. La mitezza è il contrario della protervia, che è l’arroganza ostentata. La mitezza è il contrario della prepotenza, che è abuso di potenza non solo ostentata, ma concretamente esercitata. Il protervo fa bella mostra della sua potenza, il potere che ha di schiacciarti anche soltanto con un dito, come si schiaccia una mosca o con un piede come si schiaccia un verme. Il mite è invece colui che “lascia essere l’altro quello che è”, anche se l’altro è l’arrogante, il protervo, il prepotente… Il mite non apre mai, lui, il fuoco; e quando lo aprono gli altri, non si lascia bruciare, anche quando non riesce a spegnerlo. Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità». Leggi tutto …

La prossima volta, il fuoco

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 54-55 de “Gli asini”

Il breve testo che segue fa parte di un piccolo libro che James Baldwin mise insieme nel 1963 con il titolo di uno dei due saggi che conteneva, “La prossima volta, il fuoco”. In Italia lo pubblicò Feltrinelli nel 1968. Ne vediamo oggi una certa attualità, nel pensare a cosa potranno diventare in futuro i rapporti – non solo in Italia – tra la popolazione immigrata, non importa di che generazione, e la popolazione italiana. Non è necessario essere scrittori di fantascienza per ipotizzare un futuro in cui gli immigrati prenderanno piena coscienza dei loro diritti e non solo dei loro doveri e, quelli che arriveranno spinti da disastri ecologici, disparità tra le classi e guerre che si annunciano perfino più gravi e terribili di quelli di ieri e di oggi, esigeranno di essere trattati come giusto alla pari invece di elemosinare la nostra pietà essendone peraltro ricambiati con la supponenza, il razzismo latente o palese, lo sfruttamento e la violenza con cui oggi li accogliamo.

Leggi tutto …

Giulio Marcon: riscoprire il collettivo

Tom Wolfe scrisse prima di morire un libretto dal titolo Il decennio dell’Io. Troppo buono. Già negli anni ’80 un altro grande americano – Christopher Lasch – ne La cultura del narcisismo aveva descritto mirabilmente la deriva individualistica, edonistica e consumistica della società americana, iniziata per l’appunto più di trent’anni fa e poi allargatasi alla nostra Europa. Nel frattempo il narcisismo da pecca individuale è diventato una patologia sociale e l’individualismo permea i modelli economici, politici e culturali del nostro tempo. Famosa la frase di Margaret Thatcher: “la società non esiste”, ma solo gli individui con i loro interessi.

Leggi tutto …

Saskia Sassen: “la sinistra combatta i predatori”

In occasione dell’uscita di La sinistra che verrà, il lessico politico curato da Giuliano Battiston e Giulio Marcon, la sociologa americana Saskia Sassen esorta la sinistra a lottare con i predatori dell’economia. Un testo inedito sul sito di minimum fax

Contatti

Via Buonarroti 39 00185 Roma
email:
telefono: 3490806967 | 06/88983462

Collettiva

Collettiva Follow

Spazio aperto per costruire un punto di vista critico sulla società e sul mondo.

Collettiva2
Retweet on Twitter Collettiva Retweeted
battiston_g Giuliano Battiston @battiston_g ·
25 Feb 2020

"Di chi è Roma? Città-merce vs bene comune". Domani, mercoledì 26 febbraio, dalle 18 una discussione a Palazzo Merulana con Paolo Berdini, Alessandro Coppola, Sarah Gainsforth e Lorenzo Romito. Con la proiezione del doc "Le case che eravamo", di Arianna Lodeserto. Vi aspettiamo

Reply on Twitter 1232338543231602696 Retweet on Twitter 1232338543231602696 8 Like on Twitter 1232338543231602696 13 Twitter 1232338543231602696
Retweet on Twitter Collettiva Retweeted
cgpgiornalismo CGP - Centro di giornalismo permanente @cgpgiornalismo ·
21 Feb 2020

Ultimi giorni per iscriversi al corso di #reportage organizzato dagli amici di @Collettiva2. Con @battiston_g e Massimo Loche. Per info: https://facebook.com/events/s/il-reportage-laboratorio-di-sc/1798714550261198/?ti=cl

Reply on Twitter 1230788819793981442 Retweet on Twitter 1230788819793981442 5 Like on Twitter 1230788819793981442 9 Twitter 1230788819793981442
Retweet on Twitter Collettiva Retweeted
giuliomarcon1 Giulio Marcon @giuliomarcon1 ·
16 Feb 2020

Gianfranco Schiavone di Ics Trieste e @asgi_it critica il modello disumano e affaristico di “accoglienza” voluto da @matteosalvinimi e che ancora continua: cosa aspetta il governo #Conte a cambiarlo?https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/02/15/news/migranti_il_ritorno_del_mondo_di_mezzo-248685026/

Reply on Twitter 1229096350391951363 Retweet on Twitter 1229096350391951363 6 Like on Twitter 1229096350391951363 7 Twitter 1229096350391951363
collettiva2 Collettiva @collettiva2 ·
17 Feb 2020

Siamo una scuola del saper fare, del saper fare bene
A marzo partiamo con la seconda edizione del nostro #laboratorio di scrittura di reportage
Fare del buon #giornalismo é possibile!
Vi spiegheremo come...
https://facebook.com/events/s/il-reportage-laboratorio-di-sc/1798714550261198/?ti=cl

Reply on Twitter 1229347607354408960 Retweet on Twitter 1229347607354408960 2 Like on Twitter 1229347607354408960 6 Twitter 1229347607354408960
Retweet on Twitter Collettiva Retweeted
eleonoracamilli Eleonora Camilli @eleonoracamilli ·
15 Feb 2020

Straconsigliato
👇🏻 https://twitter.com/Collettiva2/status/1228656636623048706

Reply on Twitter 1228657860609036289 Retweet on Twitter 1228657860609036289 1 Like on Twitter 1228657860609036289 17 Twitter 1228657860609036289
Load More...

Privacy Policy – Cookie Policy - Powered by botiq.it